«In Italia sino al 25 luglio c’erano 45 milioni di fascisti; dal giorno dopo, 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che l’Italia abbia 90 milioni di abitanti». La battuta velenosa, attribuita a Churchill, fotografa con sarcasmo il trasformismo del paese, entrato in guerra nel 1940 e schierato, solo tre anni dopo, a supporto del precedente nemico. Ma il fenomeno che il saggio indaga è soprattutto lo sforzo collettivo del dopoguerra di costruire una memoria pubblica assolutoria, che faccia dell’Italia una vittima della dittatura anziché la responsabile della primogenitura europea del fascismo, e la ponga a fianco dei vincitori, dimenticando di aver mosso guerra alla Francia, all’Inghilterra, alla Grecia, alla Jugoslavia e alla Russia e di aver perso drammaticamente su tutti i fronti. Dopo la Conferenza di Pace di Parigi del 1946, tutte le responsabilità della disfatta vengono infatti attribuite esclusivamente a Mussolini, ai gerarchi e a Vittorio Emanuele III. Eliminati i primi a Dongo e a Piazzale Loreto, ed esautorata la monarchia col referendum del 2 giugno, l’Italia cerca di riacquistare una presunta integrità politica e morale usando la Resistenza, opera in realtà di una minoranza, per assolversi dalle responsabilità del Ventennio. E anche gli oppositori politici del regime, per pragmatismo o per strategia, prendono parte a questo collettivo rito assolutorio, che consente una forte continuità fra la dittatura e la neonata democrazia, tanto che chi fu presidente dell’infame Tribunale della Razza sarà il primo Presidente della Corte Costituzionale. L’analisi conferma che gli Italiani non hanno mai davvero fatto i conti con il fascismo e sono perciò, più di altri popoli, inclini a riprodurlo. Un saggio lucido, pacato, assolutamente non fazioso, che aiuta a comprendere molto del nostro presente; un libro, questo sì, che andrebbe letto nelle scuole superiori.
Non solo narrativa

Lascia un commento