Non solo narrativa


“La resistenza delle donne” è un saggio rigoroso e documentato, che ha la forza narrativa di un romanzo. Punto di partenza sono le fotografie: circa 130 scatti in bianco e nero, quasi tutti in esterno, che costituiscono lo spunto del racconto. Le testimonianze delle partigiane, in gran parte giovanissime, vengono montate, come in un film, seguendo un ordine logico che dà conto dei diversi aspetti della lotta: la scelta, le armi, la paura, la tortura, la morte, ma anche l’amore e il sesso, l’incanto e la gioia di vivere, e infine il rientro nei ranghi. Ma non è una cronaca di fatti specifici, è piuttosto il racconto di una quotidianità di Resistenza che dà voce alle donne e alla loro prospettiva perché la rivolta contro la dittatura investe inevitabilmente l’altra gerarchia, considerata ‘naturale’, a cui da sempre sono sottoposte, quella maschile e familiare. Le partigiane vengono da una società clericale, contadina, conservatrice e fascista. Le giovani resistenti si liberano per la prima volta della gabbia del ‘femminile’ patriarcale e sperimentano autonomia e responsabilità fino ad allora declinabili solo al maschile. Finita l’euforia di libertà, però, nell’immediato dopoguerra, il ritorno alla vita quotidiana è amarissimo. Nonostante la Costituzione e il voto, la mentalità comune è quella di sempre, che sottopone le donne al controllo di padri, mariti e fratelli; le partigiane sono quasi un imbarazzo per i loro stessi compagni di lotta, tanto che la loro partecipazione alla Resistenza è a lungo taciuta o sminuita alle funzioni ancillari di un femminile tradizionale e rassicurante. Anche per questo, restituire voce e visibilità a queste donne è un atto dovuto, in favore della liberazione di tutte. Perché patriarcato e fascismo si fondano sugli stessi elementi: gerarchia, autorità, sottomissione giuridica e sessuale delle donne. Lottare contro l’uno implica sempre necessariamente lottare contro l’altro. E l’autrice lo dice chiaramente.