Educazione e società


L’educazione è l’arma più potente per cambiare il mondo (Nelson Mandela)

Se l’educazione è il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai più giovani gli abiti culturali di un gruppo, (Treccani, per la definizione completa clicca qui), ne consegue che non esiste esperienza educativa che non presupponga, anche implicitamente, una particolare visione del mondo, dell’uomo e della storia.

L’educazione non è un fatto privato, ma sociale; sia perché, come dice il noto proverbio africano, per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio, a sottolineare il ruolo dell’interazione sociale nello sviluppo dei più piccoli, sia perché i bambini di oggi sono gli adulti di domani, quelli che disegneranno il futuro, il che riguarda tutti.

Il ruolo sociale dell’educazione trova conferma storica presso tutte le civiltà di tutte le latitudini, eppure è uno di quei temi che, in Italia, ancora oggi evoca ideologismi che si vorrebbero sepolti da un pezzo, e invece sopravvivono, col drammatico risultato di sclerotizzare posizioni antitetiche ormai superate, ritardando e ostacolando di fatto un vero, serio discorso pubblico sull’educazione e formazione dei giovani e sulla scuola. Che dovrebbe invece essere centrale in ogni programma politico.

In questo nostro tempo polarizzato che ama le semplificazioni, continuiamo ad arroccarci tra chi rivendica alla famiglia, e alla famiglia soltanto, l’onnipotente diritto/dovere dell’educazione della prole e chi vorrebbe un ruolo più pregnante della scuola, alla quale, se da un lato si chiede di intervenire su tutti i temi dello scibile umano quando appare necessario per le contingenze del momento, dall’altro si pretende, anche a costo di scomodare avvocati e carta bollata, che si astenga da argomenti ritenuti di volta in volta sconvenienti, per rispetto della sensibilità di singole famiglie, o di gruppi, associazioni, movimenti, tutti più degni di ascolto dei professionisti della scuola stessa.

Col risultato, per fare l’esempio più ovvio, che, nell’anno 2023, non siamo in grado di fornire a bambini e ragazzi una base educativa in materia di sessualità, con l’inevitabile esito che i figli imparano tutto su Youporn. Evviva. Non solo. Quando drammatici fatti di cronaca di stupro e violenza, ingenerano nell’opinione pubblica l’idea di un possibile legame con il precoce accesso dei ragazzi alla pornografia online, allora la politica s’indigna e solennemente s’impegna a impedire ai minori la frequentazione di certi siti in rete. Salvo poi fare retromarcia: c’è già il parental control, non vorremo per caso interferire nelle scelte delle famiglie?

Politiche scolastiche

“Quando un popolo diventa gregge, altro non desidera che l’animale capo.” (Friedrich Nietzsche)

“Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola, a lungo andare, è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte costituzionale.” (Piero Calamandrei)

Due citazioni, tra le molte possibili, che segnalano lucidamente il ruolo della scuola e della formazione delle giovani generazioni nella creazione e conservazione di una società democratica.

Eppure. Nonostante le notizie allarmanti su abbandono scolastico e analfabetismo di ritorno, quando si parla di scuola, nel nostro paese, quasi mai si parla di educazione e formazione. Il tema più ricorrente è quello dei tagli ai già esigui finanziamenti dell’istruzione pubblica; a seguire ci sono le rivendicazioni sindacali sulla retribuzione degli insegnanti, l’ennesima stabilizzazione dei precari o il ruolo del dirigente scolastico. Recentemente, purtroppo, si sono aggiunte le notizie di docenti aggrediti da studenti o genitori incattiviti e di qualche solerte TAR, pronto a liquidare l’operato della scuola, in nome di lacune procedurali e amministrative, dando così soddisfazione a genitori che, come scrive Umberto Galimberti, invece di fare gli educatori fanno i sindacalisti dei propri figli. Insomma, un dibattito sulle macerie.

Non si riesce invece, nemmeno di fronte ai fatti drammatici che riempiono i giornali sul diffuso stato di disagio giovanile, ad aprire un serio discorso pubblico su come l’educazione e formazione delle nuove generazioni debba e possa evolvere, in questo nostro mondo in continuo mutamento o su come famiglie e scuola dovrebbero interrogarsi e cooperare per rifondare la famosa alleanza educativa, di cui c’è più che mai bisogno, se vogliamo avere la minima speranza di arginare la dilagante deriva che coinvolge i ragazzi e avviare la costruzione di una comunità che si faccia educante.

“Il politico diventa uomo di stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni”, ebbe a dire Sir Winston Churchill, perciò l’avvio di un serio discorso pubblico in materia di educazione e formazione dovrebbe arrivare dalla politica, ma va detto che, in Italia, chi tocca la scuola muore (almeno politicamente). Da ultimo è toccato a Renzi, con la sua Buona scuola, ma ci sono stati molti altri esempi, da destra e da sinistra, e si può umanamente comprendere che l’attuale ministro si accontenti di innovare la denominazione del ministero, aggiungendo quel “merito” sul cui significato gli Italiani potrebbero accapigliarsi per anni.

In fondo, sembra essere il pensiero dominante, meglio lasciare tutto com’è, perché, se le mani sulla scuola le mettono gli altri, cioè quelli che sono al governo oggi o domani, e che potrebbero, o non potrebbero, pensarla come la penso io, sarebbe peggio. E così, ideologizzando tutto, procedendo per singoli veti incrociati e piccole battaglie di retroguardia, non si cambia nulla. In questo modo, tutti possono criticare e dare la colpa agli altri e nessuno si prende la responsabilità; chi ci prova è presto stroncato, al resto del mondo va bene così.

Gli insegnanti

E la scuola continua ad arrancare, tirata da tutte le parti, dal politico di turno, da genitori che “so io cos’è bene per mio figlio” e che di solito non lo sanno affatto; da chi vuole che formi esseri umani e da chi, invece, pretende che sforni lavoratori, da chi rimpiange la selettività d’un tempo e da chi eliminerebbe i voti, da chi pretende la cattedra senza concorso e da chi sventola la Costituzione, da “quelli che il merito”, che poi ognuno lo intende a modo suo, dai TAR che non perdono occasione e, soprattutto, da migliaia di ragazzi giustamente confusi (è un diritto dell’età) che vogliono quello che hanno sempre voluto: essere ascoltati.

Umanamente, bisogna pur capirli, gli insegnanti: uno crede di scegliersi un mestiere tranquillo e invece si ritrova sempre in mezzo alla tempesta e i bambini, ma soprattutto gli adolescenti, ammettiamolo, sono faticosi; però, prof, se i ragazzini non ti piacciono e non ti piace stare con loro, dovresti davvero cambiare lavoro, perché, senza volerlo, si possono far danni, anche seri.

Poi ci sono quelli davvero bravi, di insegnanti voglio dire; quelli che ci mettono testa e cuore, quelli che non stanno a guardare l’orologio, quelli che amano il loro lavoro nonostante tutto, quelli che ti fanno piacere la materia, quelli che pretendono molto ma sono giusti, quelli che ti porterai per sempre nel cuore, anche da grande, quelli che lavorano in scuole difficili, quelli che coi ragazzi ci sanno fare davvero, quelli che, se li incontri, ti possono cambiare la vita. E allora chapeau.

Così come ci sono scuole che funzionano bene, grazie ai propri professionisti, alla capacità di leggere il territorio e integrarsi con le altre agenzie educative, grazie alla disponibilità a lavorare anche fuori dagli schemi. Ma purtroppo non sono la maggioranza e, di anno in anno, bisogna augurarsi che resistano, perché nel nostro paese, le eccellenze vere non godono di molta fortuna.

Il ruolo della scuola

In ogni caso, la scuola non può reggersi sull’abnegazione e la competenza dei singoli e deve invece rivendicare e difendere il suo ruolo istituzionale di presidio culturale e di democrazia, valorizzando ed esportando le esperienze eccellenti, e potenziando quel profilo educativo che spesso, specie nelle secondarie, risulta trascurato in favore del “programma”: perché è solo la scuola con le sue professionalità che può dare un contributo decisivo al discorso pubblico sull’educazione.

Come noto, educazione, formazione e istruzione non sono termini sinonimi: partendo dall’etimologia, educazione fa riferimento al “portare fuori”, ovvero favorire nell’educando lo sviluppo delle sue capacità e della sua personalità; formazione ha un significato più generale ed è spesso seguito da aggettivi che ne specificano la natura: da solo, si riferisce al processo di stimolo e contributo alla crescita evolutiva, mentre istruzione significa “costruire dentro”, ovvero immettere conoscenze e competenze.

La scuola deve sapersi muovere su tutti e tre i fronti, che, nell’esperienza educativa di bambini e ragazzi, non sono momenti separati. Formare le giovani generazioni è un obiettivo ambizioso e fare scuola oggi è sicuramente difficile. Non sempre, tuttavia, si investe nella direzione giusta. Due casi emblematici, attuali e differenti: la digitalizzazione panacea di tutti i mali e lo psicologo per le situazioni difficili.

Intendiamoci, gli aspetti positivi, in entrambi i casi, non mancano; se la scuola si mostra in grado di elaborazione e riproposta in chiave educativa, si tratta di esperienze che possono risultare utili per i ragazzi; quello che non condivido è l’attesa, talvolta messianica, da parte della politica, delle famiglie e della scuola stessa, rispetto a interventi che invece andrebbero gestiti con estrema prudenza.

La scuola non deve demonizzare l’uso del digitale, tanto caro alle giovani generazioni e, al contrario, deve impadronirsene e farne uso; condivido, tuttavia bisognerebbe discutere di una questione che equivocamente viene data per scontata, ovvero che più tecnologia significhi automaticamente una scuola migliore.  Peraltro, fatto non trascurabile, in nome di questa presunta certezza, l’ambito digitale è l’unico che, negli ultimi anni, abbia ricevuto finanziamenti cospicui.

Il fattore umano

Ma siamo certi che non sia invece il fattore umano l’unico elemento nella scuola veramente in grado di fare la differenza? E non sarebbe opportuno investire su insegnanti davvero preparati dal punto di vista pedagogico, organizzando una formazione continua e sistematica in materia di relazioni, competenze socio-affettive, fasi psico-evolutive degli alunni, e altre conoscenze spesso non richieste nella fase del reclutamento, specie nelle secondarie, dove si privilegiano i soli contenuti disciplinari? E non sarebbe necessario creare ambienti di apprendimento realmente positivi ed efficaci, garantendo classi poco numerose che permettano la reale inclusione delle differenze? Certo, in un mondo ideale, si dovrebbe investire su tutto questo e anche sul digitale, ma, con la coperta corta, si privilegia la tecnologia.

Veniamo allo psicologo; da anni ci sono esperienze più o meno sperimentali nelle scuole: un punto d’ascolto qualificato per i ragazzi e un supporto agli insegnanti e/o al gruppo classe con interventi di psicologia di comunità. Fin qui non si può che essere d’accordo, ma attenzione: reclamare la presenza dello psicologo come soluzione ai molti problemi legati ai comportamenti che si verificano nella scuola, suona un po’ come dire che certi ragazzi sono rotti e bisogna aggiustarli.

I ragazzi portano a scuola la società e la famiglia che hanno sperimentato e gli agi e i disagi che hanno vissuto. Non nego che possano esserci situazioni di reale disturbo psichico che necessitano di interventi sanitari mirati; ma la scuola non può chiamarsi fuori e deve mettere in campo tutti gli strumenti che le sono propri in quanto sistema di educazione, formazione e istruzione, per costruire un ambiente educativo accogliente e inclusivo, la migliore prevenzione possibile per le situazioni di disagio.

Il fattore umano è centrale, perché quella educativa è una relazione che si costruisce giorno per giorno e il patto educativo, che si instaura fra insegnanti e alunni, richiede un clima di fiducia reciproca e adulti capaci di “tenere insieme” e di generare curiosità e riflessioni, comunicando ai ragazzi, oltre ai contenuti, anche la passione da cui sono mossi. Gli insegnanti non devono dimenticare che i ragazzi hanno bisogno di adulti centrati e autorevoli e, per dirla con Eraldo Affinati, docente e scrittore, “I docenti sappiano suscitare emozioni”, perché, come già scriveva Platone nel IV secolo a. C., “La mente non si apre se prima non si è aperto il cuore.”