Tutto il ferro della torre Eiffel


Nel 1936 i falangisti fucilano Garcìa Lorca, Gide torna dal suo viaggio in Unione Sovietica, Hitler e Mussolini stabilizzano l’Asse Roma-Berlino, Céline consegna all’editore Denoël un rovente libello intitolato Mea culpa, a Milano muore la madre di Carlo Emilio Gadda. E anche la Parigi geometrica di Haussmann sembra pronta ad arrendersi a un destino di catastrofe. Solo i passages rimescolano i tempi storici facendo incontrare i vivi e i morti in un sottomondo onirico, carico di reminiscenze e di premonizioni.

Ci sono luoghi e tempi, nella Storia, in cui tutto si sfiora: è questo il gioco doloroso e affascinante di questo romanzo post moderno di grande intensità, scritto con superba maestria. Un viaggio allucinato nella Parigi del 1936, tra personaggi storici, letterari e immaginari, e oggetti che prendono vita dai romanzi e dai racconti di grandi scrittori, trascinati dall’ossessione della letteratura come feticcio: la sua materializzazione in oggetti tangibili è la molla che spinge il protagonista ad aggirarsi senza requie per le vie di Parigi, tra nani, nazisti, golem, spettri e cospiratori, tutti alle calcagna di Walter Benjamin e Marc Bloch, che discendono nell’incubo più atroce, dopo tutta una serie di allucinanti rivelazioni, e infine il ferro, tutto il ferro della celebre torre, inteso come simbolo, come elemento di difesa contro le tenebre.

Il protagonista è Walter Benjamin, (1892 –1940) filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco, pensatore eclettico che si è occupato di epistemologia, estetica, sociologia, misticismo ebraico e materialismo storico, e ha scritto, tra l’altro, dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. A lui spesso si affianca Marc Bloch (1886 – 1944) storico e medievista francese.

Il romanzo inizia con i ricordi evocati da una madeleine, o, per dir meglio, dalla sua imitazione in plastica, che campeggia nella prima sala del museo di Illiers, la mitica Combray della Recherche di Proust. La folle macchina narrativa nasce da qui, dal senso di vertigine provocato dall’oggetto finto che ne imita un altro, celeberrimo, ma che non esiste né è mai esistito da nessuna parte, se non nelle pagine d’un libro. La letteratura materializzata in oggetti, è il filo conduttore, molto ingarbugliato, che trascina il lettore tra le pagine.

Il romanzo sta tutto sul crinale fra il reale e l’immaginario, fra il qui e ora e il flusso del tempo, per cui i morti possono apparire ai vivi e raccontar loro il futuro. Il paradosso di fondo è che proprio quando la realtà tangibile sprofonda nell’irrealtà, la follia dei protagonisti si manifesta nel voler rendere materiali i simboli della letteratura: ecco allora Benjamin acquistare dalla portinaia di Baudelaire il vaso con i fiori del male, e da un nano misterioso, addirittura i tre puntini di sospensione, che sono il marchio di fabbrica dello stile di Céline, comodamente chiusi in una scatoletta.

L’ossessione di Benjamin per i feticci letterari s’incrocia con la caccia alle coincidenze, che l’autore affida a uno storico e più precisamente, giacché il romanzo si svolge a Parigi nel 1936, a Marc Bloch, immaginato come un bohémien dedito all’alcol, che abita in una soffitta e passa il tempo nei bistrot. La trama fittissima delle coincidenze che ossessionano Bloch disvela a poco a poco un’oscura congiura di forze maligne, scandita dalla presenza d’infausti nani, che si manifesta attraverso una sequela spaventevole di incidenti e di suicidi; a caderne vittima sono scrittori, filosofi e artisti, nonché i maggiori industriali dell’automobile.

Chi non è spinto al suicidio è sostituito da un golem ubbidiente, come l’Heidegger che si fa vedere in pubblico con la svastica all’occhiello. Contro il male metafisico e dilagante, l’unica arma efficace è il ferro: l’elemento, cioè, più concreto e materiale che ci sia, inteso come forza positiva, che dissolve le tenebre, purché si faccia in tempo ad aggrapparvisi; di qui, ovviamente, la funzione salvifica dei passages e delle gares di Parigi, e soprattutto della Tour Eiffel, che domina fin nel titolo del romanzo, con la sua immensa mole di putrelle e bulloni.

“Tutto il ferro della torre Eiffel” è una lunga divagazione sulla letteratura, un labirintico “pastiche” fantastico che fa, della frammentazione tra realtà e invenzione, il suo tratto distintivo; con uno stile personalissimo, l’autore gioca con la tradizione letteraria del passato per dare vita a una storia di assoluta originalità.

È un libro fatto di altri libri, denso di fatti, di personaggi, di storie piccole e grandi che abilmente mescolano il vero e il falso, ma non siamo davanti a uno sterile gioco erudito, al contrario, assistiamo a una ricostruzione immaginifica e trascinante dei cupissimi anni Trenta e a un’analisi profonda e disincantata del disastro dal quale l’Europa ancora stenta a riprendersi, attraverso un’espressione culturale che non è tanto sapere e nozioni, ma capacità di gioco, interconnessioni, bellezza e passione.

“Tutto il ferro della torre Eiffel” è un continuo susseguirsi di citazioni, di rimandi a personaggi che hanno fatto la storia dell’arte, della scienza, e soprattutto della cultura mitteleuropea a cavallo tra Ottocento e Novecento: in questo vortice di riferimenti smarrirsi può essere facile, ma vi assicuro che ne vale la pena, perché l’opera è molto ben architettata, perfettamente coerente nei suoi rimandi e nella costruzione di una versione della storia culturale di inizio secolo, che si presenta come alternativa a quella ufficiale, condotta sul filo dell’ironia e del dramma.

Un divertimento impegnativo per il lettore, che può decidere se accettare la sfida e rincorrere personaggi e oggetti che si inseguono tra le pagine, oppure lasciarsi travolgere dal vortice di quadri grotteschi e dialoghi al limite del surreale, godendosi l’esperienza in totale incoscienza di ciò che verrà dopo. Io ho fatto entrambe le cose: un po’ mi sono divertita a riconoscere nomi e citazioni, un po’ sono andata alla ricerca di ciò che non sapevo, soprattutto mi sono lasciata coinvolgere dalla lettura.

Consigliato ai curiosi e ai temerari, sconsigliato a chi cerca un libro di poco impegno.