Il 7 gennaio 1978, in via Acca Larentia, a Roma, davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano, vengono uccisi, a colpi d’arma da fuoco, due giovani attivisti di destra. L’attentato è rivendicato da una sigla posticcia e improbabile e gli omicidi restano senza colpevoli.
Quasi dieci anni dopo, nel 1987, viene improvvisamente arrestato, con l’accusa di essere implicato in quel fatto, Mario Scrocca, infermiere romano “riccio e bruno”, sulla scorta di una pallida testimonianza “de relato”, ovvero per sentito dire, riferita da una ex militante della sinistra extraparlamentare che, all’epoca dei fatti, aveva quattordici anni.
A suo carico non c’è nient’altro e l’avvocato lo rassicura; deve però avere pazienza, perché l’arresto avviene giusto prima di un ponte festivo e l’interrogatorio è rinviato al primo giorno lavorativo successivo. Mario viene ristretto in una cella antisuicidio e dovrebbe essere guardato a vista, ma, poche ore più tardi, lo troveranno morto impiccato.
Questo il breve riepilogo dei fatti che sfumano nel clima pesante di quegli anni, in cui agguati e sparatorie e violenze tra gruppi politici opposti e sempre più armati erano all’ordine del giorno. Ma il libro non parla di lotta armata e neppure di lotta politica, se non come lo sfondo di passione civile e sociale sul quale si muovono i protagonisti.
Perché questa è soprattutto la storia d’amore tra Mario e Rossella, conosciutisi giovanissimi nel 1977, quando lei aveva quindici anni e lui diciotto e che, da allora, non si sono più lasciati, si sono sposati e hanno avuto un bambino, che ha due anni quando i carabinieri, una notte, riempiono di pugni la porta della loro casa e portano via Mario che, dalla sua famiglia, non tornerà mai più.
Qui comincia il calvario di Rossella, che non fa in tempo a rendersi conto dell’arresto del marito quando, con una telefonata, le dicono che Mario è morto. Una donna sola e con poco denaro non riuscirà mai a risolvere i dubbi di una morte sospetta, che la tormenteranno per sempre.
Tutto si svolge troppo in fretta e senza nessuna trasparenza, a cominciare dall’autopsia, effettuata senza avvertire la famiglia e perciò senza perito di parte. In breve l’inchiesta si chiude, confermando il suicidio. Per riaprirla ci vogliono soldi, ma Rossella non ne ha e i dubbi restano: si è davvero suicidato Mario Scrocca o è stato inscenato un suicidio? Mario e Rossella erano felici, avevano un bambino piccolo, un’esistenza serena, lui svolgeva con orgoglio la professione di infermiere; possibile che un uomo così si tolga la vita dopo un solo giorno di carcere?
Dopo molti anni, Rossella dà voce ai dubbi che non l’hanno mai abbandonata, pubblicando un libro, il cui titolo denuncia la sensazione di solitudine e impotenza che ha segnato la sua vita: “Soli soli: morire a Regina Coeli”, pubblicato nel 2019. Ed è grazie a un libro e alla sua presentazione che Rossella incontra la giovane autrice di “Dalla stessa parte mi troverai”.
E, da quell’incontro, nasce un’amicizia che un dolore affine, seppure diverso, rende “sorellanza”, nonostante la differenza di età. La vita di entrambe è segnata da un trauma che, per l’autrice, è anche il motore della sua scrittura. Valentina Mira vive ad Acca Larentia e ha frequentato ragazzi fascisti; con uno di questi è stata anche fidanzata, riportando la ferita di una relazione tossica, con un maschio predatore e manipolatore: caratteristiche personali che hanno utile terreno di coltura nella mentalità fascista, da sempre intrisa dei peggiori stereotipi maschilisti.
Parallelamente a quella di Mario e Rossella, storia tragica di violenza politica degli ultimi anni Settanta, emerge a tratti la vicenda personale dell’autrice, che si svolge ai giorni nostri, e del suo non darsi pace per essere stata così ingenua da fidarsi di quel giovane e, soprattutto, così ignorante sulla cultura fascista mai del tutto sconfitta e sul suo rialzare la testa nella neonata democrazia italiana, con la violenza e la protervia degli attentati stragisti, dei tentativi di colpo di stato, delle coperture politiche, e del revisionismo storico, mai come oggi di preoccupante attualità.
La dolorosa presa di coscienza dell’autrice passa attraverso la conoscenza dei fatti storici che hanno segnato la storia della nostra Repubblica, anche grazie all’incontro con Rossella che quegli anni li ha vissuti; ma occorre anche una resa dei conti sulle proprie responsabilità personali, per aver permesso a un maschio fascista di entrare nella sua intimità e farle del male.
Si mescolano così memoria pubblica e memoria privata, la tragica storia di Rossella, vedova mai rassegnata e incapace di separarsi del tutto da Mario, e quella dell’autrice, giovane ferita nell’anima che, nel suo percorso di consapevolezza, scopre una realtà politica che ignorava o preferiva accantonare, e oggi rivendica, con la sua scrittura, il diritto di non tacere.
Il libro di Valentina Mira ti risucchia e non ti molla, grazie a una scrittura incalzante, che sembra mossa da un’urgenza invincibile di dare un nome alle cose, con una chiarezza e una determinazione senza sconti. Naturalmente, un libro così non poteva non suscitare un vespaio di polemiche, a maggior ragione quando è entrato nella dozzina dei candidati al Premio Strega.
Cominciamo col dire che Acca Larentia rientra in quello che Paolo Morando, nella sua recensione sul “Domani” dell’aprile scorso, ha definito il “Walhalla dell’estrema destra romana”, e che, ad ogni anniversario, proprio lì si svolge uno di quei riti neofascisti a braccio teso che la nostra Costituzione vieterebbe (il condizionale è d’obbligo) e una decente elaborazione dell’esperienza del Ventennio, da parte degli Italiani, renderebbe inimmaginabile. E invece.
Invece è partito il fuoco di fila e, dopo la nomina nella dozzina dello Strega, i giornali schierati col governo hanno scritto di tutto sul libro, infiammando i social e incitando i commenti dei loro lettori che si possono facilmente immaginare. «Perché guai a toccare il pantheon della destra, specie se lo si fa citando anche l’attuale presidente del Consiglio, immortalata da un telegiornale nel 2008 (pagina 15 di 247 del libro di Mira) “mentre deposita una corona di fiori sulla croce celtica nera più grossa che Google Maps abbia mai immortalato”».
Sì, perché, per quanto incredibile possa sembrare a noi cittadini che crediamo di vivere in una Repubblica democratica, a via Acca Larentia, sul selciato della strada, è tuttora disegnata in nero un’enorme croce celtica che occupa quattro numeri civici, addirittura visibile su Google Maps; una vergogna che, a quanto pare, ancora la burocrazia non è riuscita a cancellare, disquisendo di competenze e altri cavilli. E, cosa ancora più incredibile, nessuno chiede conto alla parte politica responsabile dell’ostruzionismo che ostacola l’eliminazione dell’indegno simbolo, neanche fosse una cosa normale.
Ma torniamo al libro. In realtà, il racconto di Rossella e Mario è molto più incentrato sugli aspetti personali che su quelli politici e, d’altra parte, essendo la storia di un errore giudiziario costato la vita a un innocente, comunque si voglia intendere la sua morte, non è questione che dovrebbe essere soggetta a un vaglio di tipo politico. Mario Scrocca non fu mai giudicato in quanto premorto, ma le prove erano, come si è detto, inesistenti e infatti, dei soggetti attenzionati nell’ambito della stessa inchiesta, nessuno fu in alcun modo condannato e gli omicidi di Acca Larentia sono tuttora senza colpevoli.
L’antifascismo militante dell’autrice fa tesoro delle riflessioni storiche e dei racconti di Rossella Scarponi che quegli anni li ha vissuti, ma emerge soprattutto come percorso personale, legato alle vicende giovanili cui si è accennato, e in fondo è questo che dà personalità al romanzo, che mischia efficacemente i due piani e che romanzo resta, senza pretese saggistiche o politologiche.
A me è piaciuto: per la vivacità della scrittura che ti inchioda alla pagina, per il coraggio di affrontare un argomento molto spinoso ai nostri giorni, per l’ambizione appassionata di contribuire a costruire una memoria pubblica su quei tempi e quei fatti, per l’urgenza di parlare del proprio vissuto, che appare dolorosa e onesta a un tempo. E per la giovane età dell’autrice, curiosa di un tempo che non ha conosciuto, ma che ancora impronta di sé il nostro presente. Polemiche chiaramente fuori luogo.
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