Gioia mia


“Gioia mia” di Tea Ranno è pubblicato da Mondadori nel 2022.

“Terra mia” è la terra del nonno di Luisa. Ci sono dentro i suoi ricordi più belli di bambina, prima che lui, a causa di un grosso debito, si trovi costretto a vendere, per poi spegnersi piano piano, macerandosi nella lontananza da quel luogo tanto amato.

Terra mia, abbandonata, diventa un cumulo di pietre perse, per poi tornare inaspettatamente, dopo diversi anni, nelle mani di Luisa, ormai adulta.

Suo marito Carmine, infatti, la ricompra per quattro soldi e gliene fa dono, tanto poco ormai vale la terra del nonno. Luisa decide di riportarla al suo antico splendore, costruendoci un castello, anzi una “Castidda” perché la terra è femmina.

E qui cominciano i guai. In quel luogo magnifico in cima a una collina che guarda l’Etna, nasce una meravigliosa masseria tra mare e campagna. Ma un mafioso del luogo se ne incapriccia, e la vuole a ogni costo per costruire un albergo di lusso.

Per Luisa, Terra mia è la sua radice, il ricordo del nonno amorevole che, dopo la morte, la visitava in sogno per dissuaderla dalle nozze con Carmine. E quanto aveva ragione… Dopo il matrimonio, infatti, Carmine non le permette di studiare, né di avere la tanto desiderata figlia femmina, dopo la nascita del primogenito Giulio, e soprattutto pretende di contarle il denaro.

Ma Luisa ha la tempra della sua terra tra mare e campagna, e non si arrende. Riesce a trovare la sua indipendenza aprendo un ristorante insieme alle amiche più vere, “Il piacere”, che ben presto diventa uno dei locali più rinomati della Sicilia.

É una storia di sorellanza assoluta, di donne che si aiutano fino all’ultimo respiro, che lavorano in simbiosi, unite dall’”amurusanza”, termine siciliano che non indica solo amore, ma quella particolare affinità che porta il bene fra le persone.

Quando Luisa cade improvvisamente come morta in maniera inspiegabile, viene portata in ospedale e assistita giorno e notte dal figlio Giulio, mentre le amiche si incaricano di difendere la terra e il ristorante, in cui lei ha investito denaro e tutta la sua energia. In questo sonno innaturale, Luisa ricorda e racconta per noi il suo passato, fino a ritrovare quel pezzo di sé stessa che le mancava, quello che la mente aveva cancellato, perché troppo era il dolore da affrontare: la grande tragedia della sua vita.

Intanto Carmine, suo marito, aspetta solo la sua morte per poter mettere mano al patrimonio, vendere la Castidda al mafioso e andarsene lontano. Ma il destino decide diversamente…perché la “scordanza” a volte protegge dal dolore, ma quando torna ti riporta in vita.

In “Gioia mia” c’è l’emancipazione femminile, la maternità, la sublimazione dei salvifici legami tra donne e l’autentico amore per la Sicilia. Il romanzo richiama il tema tutto verghiano della “roba”, del denaro, della ricchezza, che, se per alcuni non sono che strumenti di potere e distinzione di sé, per la protagonista sono invece l’espressione più profonda della sua essenza e della sua femminile capacità generatrice.

L’elemento del femminile è in forte risalto in tutto il romanzo, non solo nella figura della protagonista e nella sorellanza con le altre donne, ma anche in forma di principio di vita fruttifera al pari della terra ed energia di connessione con la natura e con le altre creature, un’energia che si prende cura, che difende e protegge.

E il dispregio generale in cui incorre l’infame Carmine, colpevole di infinite ignominie, non lascia il minimo cruccio in chi legge, se non un pizzico di umana pietà che non si nega a nessuno.

“Gioia mia” è un romanzo profondamente siciliano, col suo richiamo lirico alle origini e alla terra, e con uno stile lessicale e sintattico, fortemente improntato alla parlata dialettale, cui si affianca una prosa ricca, lontana da un certo diffuso minimalismo contemporaneo. Si sente profumo di Sicilia, di zagare, di fichi, di limoni e il linguaggio utilizzato, fatto di dialetto, di ricordi, di parole che suonano e risuonano nella memoria, rende la lettura quasi un’esperienza multisensoriale.

È un romanzo piacevole, che affronta temi seri con una leggerezza che non è mai superficialità o approssimazione, e sembra invece la luce di una saggezza antica, atavica, che la scrittura condivide con la terra di cui racconta. Un po’ troppo sentimentale la parte finale, in cui si narra del ritorno alla vita di Luisa; più brillante e godibile la prima parte, in cui prevale uno sguardo più leggero e talvolta ironico.