La vita bugiarda degli adulti


La vita bugiarda degli adulti”, di Elena Ferrante, è uscito nel 2019 per le edizioni E/O. La vicenda è ambientata a Napoli nei primi anni Novanta. La protagonista è la tredicenne Giovanna, adolescente borghese, figlia unica di una coppia di docenti in cui è preminente la figura del padre Andrea, idolatrato per le sue qualità intellettuali dalla moglie e sempre preso dai suoi studi e dagli impegni culturali che scandiscono la vita della famiglia e ne caratterizzano le frequentazioni.

Per Giovanna, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza è turbato dall’inaccettabile calo del rendimento scolastico e dal dolore di sentirsi paragonata, in una conversazione tra i genitori che la ragazza ascolta per caso, a zia Vittoria, sorella di suo padre, con la quale la famiglia non ha più alcun rapporto e che viene citata come una figura da cui tenere le distanze, tanto da averne cancellato le sembianze in tutte le foto del passato.

Giovanna, preoccupata di somigliare a quella che le hanno raccontato come lo spauracchio della sua infanzia, comincia a interessarsi alla zia che non ha mai visto e insiste per conoscerla; i genitori, che vogliono essere di vedute aperte nonostante la loro contrarietà, organizzano l’incontro, così che Giovanna possa mettersi il cuore in pace.

L’incontro tra zia e nipote, nel quartiere malfamato di Napoli dove lei vive, non ottiene però l’effetto sperato dai genitori, perché Giovanna, al contrario, rimane affascinata dall’irruente Vittoria e comincia a frequentarla, ottenendo da lei un racconto della sua famiglia che fa vacillare più di una certezza. In particolare, Vittoria riferisce alla nipote la sua versione del litigio col fratello, reo di avere interferito, per ragioni di soldi, nella relazione che lei intratteneva con un uomo sposato e padre di tre figli e le parla inoltre di un certo braccialetto, da lei destinato proprio a Giovanna alla sua nascita, e poi stranamente sparito.

Attraverso Vittoria, Giovanna inizia a vedere i suoi genitori con occhi diversi e l’ambiente benestante in cui è cresciuta le appare ora falso e ipocrita, rispetto al mondo della zia, semplice, ignorante, spesso volgare, ma forse più vero. La vita di Giovanna è ulteriormente sconvolta dalla separazione dei genitori, a seguito dell’abbandono del padre che rivela di avere da molti anni una relazione con la moglie del suo migliore amico, nonché madre di due ragazze, coetanee e amiche di Giovanna fin dall’infanzia.

La crisi della famiglia spinge Giovanna a un periodo di ribellione, durante il quale viene bocciata, si allontana dalla zia e ha alcune esperienze sessuali prive di implicazioni sentimentali. Più avanti riprende a frequentare Vittoria, che la coinvolge in iniziative della parrocchia, un mondo del tutto sconosciuto alla ragazza, che incontra in quell’occasione un giovane accademico che accende il suo interesse.

Col tempo, Giovanna scoprirà che anche quella di Vittoria è una vita bugiarda e che non tutto quello che le ha raccontato è vero, così come altre persone, situazioni e amicizie che l’avevano coinvolta si rivelano poi false e deludenti. L’approdo all’adolescenza, infine, avviene, con estremo disincanto, quando Giovanna decide di perdere la verginità con un ragazzo che non le piace, ma la corteggia da anni. Il rapporto è freddo e privo di sentimenti, proprio come lei lo ha voluto, un adempimento per passare oltre.

Ho letto di recente questo romanzo e ho visto la serie Netflix che ne è stata tratta e devo dire che ho provato la stessa sensazione già sperimentata per i precedenti libri di Elena Ferrante, di cui ho letto quasi tutto, inclusi i quattro volumi dell’Amica geniale.

Non metto in discussione l’innegabile capacità narrativa, la costruzione degli intrecci e dei personaggi, ma per me le sue storie hanno una pesantezza tutta particolare, data dall’assenza di speranza: nei suoi libri non si salva nessuno, non c’è possibilità. E anche in questo caso, in cui la protagonista è una ragazzina, la vicenda, pur rimanendo aperta nel finale, lascia un senso di disincanto che raggela.

Non che abbia bisogno del lieto fine, per apprezzare un romanzo, ma la disperazione come cifra stilistica mi lascia perplessa. Considerato il successo planetario di questa autrice, mi sento un po’ fuori dal coro e mi piacerebbe conoscere altre opinioni. L’avete letto? Cosa ne pensate?